CONTO CORRENTE - INDEBITO

CONTO CORRENTE - INDEBITO

Il correntista che agisce in giudizio per la restituzione di quanto indebitamente riscosso dalla banca ha l'onere di dimostrare, nella sua precisa entità, l'appostazione in conto di somme non dovute, successivamente oggetto di riscossione da parte dell'istituto di credito. In virtù dell'anzidetto principio, infatti, il correntista, ove non provveda a produrre gli estratti conto dall'inizio del rapporto, dando così integrale dimostrazione degli addebiti e delle rimesse che siano stati operati, non può pretendere l'azzeramento del saldo debitorio documentato dal primo degli estratti conto utilizzabili per la ricostruzione del rapporto di dare ed avere tra le parti, dovendo l'accertamento giudiziale prendere le mosse proprio da tale evidenza contabile.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea - Presidente -

Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. FERRO Massimo - Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27801-2016 proposto da:

L.A., LO.RE.DO., L.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 6, presso lo studio dell'avvocato MARCELLO MELANDRI, rappresentati e difesi dall'avvocato GAETANO BARRESI;

- ricorrenti -

contro

UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO VOLTAGGIO, rappresentata e difesa dall'avvocato TITO MONTEROSSO;

- controricorrente -

contro

ITACAPITAL SRL, in persona dell'amministratore unico e legale rappresentante, e per essa CREDIT BASE INTERNATIONAL SRL CON SIGLA C.B.I. SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAMOZZI, 1, presso lo studio dell'avvocato MATTEO TIDEI ZEGRINI, rappresentata e difesa dall'avvocato NICOLA ANDREOZZI;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 689/2015 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata l'01/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del Primo Presidente.

Svolgimento del processo

1. - Il Tribunale di Messina, con sentenza del 23 aprile 2008, definiva il giudizio di opposizione proposto da L.A., L.N. e Lo.Re.Do., relativo all'esposizione debitoria determinatasi con riferimento ad alcuni rapporti bancari: in particolare, il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo pronunciato su ricorso di Banca di Roma s.p.a., disponeva la cancellazione dell'ipoteca iscritta in forza del titolo provvisoriamente esecutivo e confermava l'ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. pronunciata in corso di causa, avente ad oggetto la ripetizione di somme indebitamente corrisposte all'istituto di credito.

2. - Il 1 dicembre 2015 la Corte di appello di Messina accoglieva parzialmente il gravame avanti ad essa proposto: erano in particolare disposte la revoca dell'ordinanza ingiuntiva emessa dal primo giudice e la condanna di Unicredit s.p.a. al pagamento, in favore di L.A., della somma complessiva di Euro 165.557,23, oltre interessi. La pronuncia era resa a seguito dell'appello proposto da Unicredit Credit Management Bank s.p.a., già mandataria di Aspra Finance s.p.a., nella resistenza A. e L.N. e Lo.Re.Do. e con la partecipazione al giudizio di Unicredit s.p.a., società chiamata di integrare il contraddittorio nella qualità di successore universale di Banca di Roma.

3. - La pronuncia della Corte sicula è stata impugnata per cassazione dai L. e L.R. con un ricorso basato su due motivi.

Resistono con controricorso Unicredit e Itacapital s.r.l. rappresentata in giudizio da C.B.I. s.r.l. - la quale si assume cessionaria del credito per cui è causa. Sono state depositate le memorie ex art. 378 c.p.c. da parte dei ricorrenti e di Unicredit.

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 100, 110 e 323 c.p.c., la carenza di legittimazione a impugnare la sentenza (da parte di Aspra Finance, a mezzo della mandataria Unicredit Credit Management Bank) e l'inammissibilità dell'appello. Rilevano che la Banca di Roma, nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva concluso con la società Trevi Finance un contratto di cessione del credito da essa vantato nei confronti degli odierni ricorrenti; Trevi Finance aveva poi successivamente concluso un contratto di cessione pro solido dei detti crediti, dando corso a un processo di cartolarizzazione che aveva comportato l'emissione di titoli negoziabili collegati ai crediti oggetto della cessione precedentemente intercorsa con la Banca di Roma. In conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto da Aspra Finance nell'atto di appello, a quest'ultima non poteva essere stato trasferito il credito a sofferenza vantato nei confronti dei ricorrenti, giacchè alla data della cessione operata in favore dell'appellante tali credito era già stato ceduto dalla Banca di Roma a Trevi Finance.

Il motivo è inammissibile.

La censura, che non risulta sia stata sollevata avanti al giudice di appello - e di cui, infatti, la Corte di Messina non si occupa - implica, come è del tutto evidente, specifici accertamenti di fatto. Essa è pertanto inammissibile nella presente sede. Va ricordato, in proposito, che la questione afferente la proposizione dell'appello da parte di un soggetto diverso da quello legittimato, può essere sollevata dal ricorrente in cassazione, ancorchè egli non l'abbia sollevata nel precedente grado di giudizio ma a una duplice condizione: che non si sia formato il giudicato interno sul punto e che non siano necessari accertamenti di fatto (Cass. 30 dicembre 2011, n. 30246; Cass. 17 giugno 2014, n. 13762). Poichè la decisione richiesta implica una ricognizione, in fatto, delle richiamate vicende traslative, è escluso che la questione veicolata dal primo motivo possa avere ingresso nella presente sede.

D'altro canto - può aggiungersi per mera completezza - nel corpo della censura nemmeno si chiarisce (fatta eccezione per il richiamo, operato dai ricorrenti, a una corrispondenza di cui peraltro si ignora il contenuto, citata a pag. 10 del ricorso) se i documenti posti a fondamento dell'impugnazione siano stati prodotti nella precedente fase di merito: per il che il motivo risulta pure carente di specificità, a mente dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Nè la prova di quanto dedotto nel motivo potrebbe essere affidata a documenti prodotti nella sede di legittimità, giacchè le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 c.p.c., la produzione di nuovi documenti in sede di giudizio di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell'atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, e non si estendono, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento (per tutte: Cass. 2 luglio 2014, n. 15073; Cass. 26 ottobre 2006, n. 23026; con riferimento al tema della legittimazione ad agire in relazione alla qualità di successore dell'originaria parte del processo: Cass. 24 luglio 2012, n. 12982).

2. - La doglianza espressa nel secondo motivo è rubricata come violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 119 t.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993), oltre che degli artt. 88 e 116 c.p.c. e come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Lamentano in sintesi i ricorrenti che il giudice distrettuale abbia quantificato l'importo ad essi dovuto assumendo, quale dato di partenza, il saldo negativo comunicato dall'istituto di credito al giorno 19 dicembre 1985, piuttosto che il saldo zero. Asseriscono, in proposito, che l'istituto bancario non aveva provato la sussistenza del proprio credito, così come quantificato nel ricorso per ingiunzione (risultando incompleta la documentazione degli estratti conto con riferimento all'anno 1983 e mancando tutta la documentazione relativa all'anno 1985). Aggiunge che la banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, era onerata di dimostrare l'entità del proprio credito mediante la produzione di tutti gli estratti conto a partire dalla conclusione del contratto e che, in difetto di tale documentazione, il rapporto di conto andava ricostruito assegnando il saldo zero alla data del 19 dicembre 1985: per contro, la Corte di merito aveva recepito il conteggio del consulente tecnico d'ufficio che individuava in Euro 206.573.897 il saldo iniziale a quella data.

Il motivo non ha fondamento.

Occorre considerare che la Corte di appello ha pronunciato sulla domanda proposta dal correntista L.A.: domanda che aveva chiaramente ad oggetto la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dalla banca nel corso del rapporto. Correttamente il giudice distrettuale ha dunque osservato che l'onere della prova concernente la pretesa azionata gravava sul predetto L.. E' qui appena il caso di ricordare che in caso di domanda di ripetizione di indebito oggettivo l'onere della prova grava sul creditore istante, il quale è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e quindi sia l'avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. 13 novembre 2003, n. 17146; sull'onere di provare l'inesistenza di una causa giustificativa del pagamento, cfr. pure, ad es.: Cass. 14 maggio 2012, n. 7501; Cass. 10 novembre 2010, n. 22872; Cass. 9 febbraio, n. 2903; Cass. 17 marzo 2006, n. 5896); sicchè spettava al ricorrente documentare, attraverso gli estratti conto, gli addebiti illegittimamente attuati in suo danno e le somme percepite dalla banca in dipendenza di essi. Con riferimento al periodo anteriore al 19 dicembre 1985, per cui mancava idonea documentazione delle intercorse movimentazioni del conto, il ricorrente non poteva dunque aspirare a un azzeramento del saldo: una tale operazione si sarebbe infatti tradotta nel riconoscimento, in assenza di idonei riscontri, di pregressi illegittimi addebiti, da parte dello stesso L., per un importo corrispondente al saldo passivo documentato dalla banca alla suddetta data.

Nè vale opporre l'onere, in capo alla banca, di produrre gli estratti conto a far data dal momento di apertura del conto. Infatti, se è vero che tale onere sussiste, la banca non potendovisi sottrarre invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni Cass. 25 maggio 2017, n. 13258; Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. 10 maggio 2007, n. 10692), deve rilevarsi che esso opera con riferimento al diritto di pagamento azionato dalla banca: se ad agire in giudizio è il correntista, l'onere di provare l'andamento del conto dal suo inizio incombe su detto soggetto.

In conclusione, la Corte di merito risulta aver fatta corretta applicazione del principio per cui il correntista che agisce in giudizio per la restituzione di quanto indebitamente riscosso dalla banca ha l'onere di dimostrare, nella sua precisa entità, l'appostazione in conto di somme non dovute, successivamente oggetto di riscossione da parte dell'istituto di credito. ella stregua di tale principio, infatti, il correntista, ove non provveda a produrre gli estratti conto dall'inizio del rapporto - dando così integrale dimostrazione degli addebiti e delle rimesse che siano stati operati - non può pretendere l'azzeramento del saldo debitorio documentato dal primo degli estratti conto utilizzabili per la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti, dovendo l'accertamento giudiziale prendere le mosse proprio da tale evidenza contabile.

3. - Il ricorso va dunque respinto.

4. - Per le spese vale il principio di soccombenza tra i ricorrenti e Unicredit. Tra gli istanti e l'interveniente Itacapital, rappresentata da C.B.I., le spese possono invece compensarsi; se è vero, infatti, che il ricorso è respinto, è altrettanto vero che Itacapital, attraverso C.B.I., ha prospettato di essere cessionaria di un credito (quello, si presume, già vantato dalla cedente nei confronti degli originari ingiunti) che non viene in questione nel presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Unicredit, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; compensa le spese processuali tra i ricorrenti e Itacapital, rappresentata in giudizio da C.B.I.; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2017


Avv. Francesco Botta

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